Riportiamo un interessante articolo dal sito: Dati Meteo Asti

In questo articolo cercheremo di sfatare uno dei più grandi miti riguardanti i corsi d’acqua e le alluvioni: si tratta di una credenza popolare che ha dell’incredibile per quanto sia tutt’ora condivisa dalla maggior parte della popolazione (e sposata anche da molti politici pur non avendo alcuna competenza in materia) e che con puntualità svizzera torna in auge nel momento immediatamente successivo ad un’alluvione. Stiamo parlando dell’annosa questione della pulizia dei fiumi tramite operazioni di dragaggio per asportare ghiaia e sedimenti al fine di aumentarne la sezione per permettere il transito di un maggior volume d’acqua e contenere future piene evitando gravi alluvioni. Smentiremo l’utilità di questa pratica – sottolineando anzi quanto essa sia pericolosa – dando spazio ad articoli ed interviste di esperti del settore e faremo un discorso più ampio andando ad analizzare quali possono essere le reali cause di alluvioni e fenomeni estremi apparentemente sempre più intensi e frequenti.

Pulizia dei fiumi sì, ma dragare i corsi d’acqua è pericoloso: vi spieghiamo il perchè

“Erano saggi i nostri nonni che al loro tempo tenevano puliti i fiumi” e ancora “una volta quando si dragavano i fiumi non c’erano queste alluvioni”: sono solo alcune delle affermazioni più comuni che si leggono con frequenza sui social a seguito di una alluvione. Per favore, non andiamo a scomodare i nostri nonni, che, per quanto fossero grandi lavoratori e conoscitori della terra, non hanno mai conseguito una laurea in geologia o ingegneria idraulica. Le cronache del passato sono piene di testimonianze su terribili alluvioni avvenute anche in epoche remote, d’altronde si tratta di un evento naturale per un corso d’acqua, che avviene in maniera ciclica. La manutenzione dei fiumi e la prevenzione del rischio idraulico non si fanno estraendo ghiaia dai loro alvei: più importante e necessario, sarebbe invece il contributo della pulizia dei fiumi da alberi, arbusti e quanto altro ostruisce o riduce la sezione fluviale, come ad esempio le grosse quantità di legname che spesso si trovano lungo le rive dei corsi d’acqua in ambienti montani che possono essere trascinate dalla corrente con effetti disastrosi a valle, dove possono fungere da tappo ostruendo un attraversamento presente lungo il fiume, con il risultato di amplificare ulteriormente la piena. In ogni caso, la pulizia in alveo, con asportazione di alberi e arbusti deve essere selettiva e guidata, anche in collaborazione con altre professionalità (ad es. agronomi), finalizzati alla funzionalità e vocazionalità idraulica dei corpi idrici superficiali.

Grosse quantità di legname si sono accumulate per le vie del centro storico di Garessio (CN, Alta Valle Tanaro) a seguito dell’alluvione del 2 ottobre 2020: si tratta di una situazione del tutto simile a quanto già avvenuto in occasione delle alluvioni del 2016 e del 1994.

Grande accumulo di legname e detriti a Castelletto d’Orba (AL) lungo il Rio Arbara a seguito dell’alluvione del 21 ottobre 2019: in questo caso i grossi tronchi sono stati bloccati sotto l’arcata di un ponte la cui sezione di deflusso è insufficiente per permettere il regolare scorrimento delle acque durante una piena.

Le critiche più feroci vengono mosse dalla maggior parte delle cittadini verso le amministrazioni comunali che non si preoccupano di pulire fiumi e torrenti asportando sabbie, ghiaie e sedimenti come è stato fatto per molti anni nel Dopoguerra. Purtroppo oggi sappiamo, grazie a studi scientifici, che è stato un grosso errore dragare i corsi d’acqua: questa azione non ha fatto altro che accentuare ulteriormente l’erosione nell’alveo del fiume. Infatti il funzionamento di un corso d’acqua non è così banale: pensare di togliere materiale dal suo letto per aumentarne la sezione in modo che l’alveo possa contenere un maggior volume d’acqua è un concetto semplicistico e completamente sbagliato. Tuttavia tale convinzione è radicata in una larga fetta di popolazione e nemmeno di fronte a prove scientifiche in grado di confutarla viene messa in discussione.

Riguardo il caso della pulizia dei fiumi vogliamo citare una recente intervista rilasciata dal Dottor Stefano Fenoglio, ecologo fluviale e docente di presso l’Università degli Studi di Torino, che bene affronta la questione e spiega perchè, non solo è inutile, ma anche controproducente, dragare i corsi d’acqua e quali soluzioni si possono adottare per cercare di prevenire nuove alluvioni:

“E’ diffuso il luogo comune per cui la presenza di ammassi di materiali ghiaiosi nei nostri fiumi sarebbe da annoverare tra le cause delle sempre più frequenti alluvioni, in quanto questi materiali avrebbero innalzato il letto del fiume, riducendone la sezione di deflusso ed aumentando quindi i rischi di esondazione. Quali sono le basi tecnico-scientifiche di tali asserzioni? Nessuna, anzi tutti i dati che abbiamo a nostra disposizione sostengono il contrario. In primo luogo, occorre separare e distinguere gli interventi puntuali di rimozione degli inerti dall’alveo da una diffusa e generale operazione che dovrebbe interessare interi reticoli fluviali. Nel primo caso le opere possono essere utili, anzi necessarie (ad esempio all’interno di centri abitati), mentre nel secondo non solo sono inutili, ma addirittura dannose. In primo luogo, mentre si sostiene che l’accumulo di inerti, come ghiaia, o sabbia, è andato aumentando negli ultimi decenni, è generalmente vero il contrario. Il letto nei nostri fiumi non si sta alzando, anzi al contrario si sta abbassando. L’eccessiva escavazione di sedimenti dall’alveo che si è verificata dal dopoguerra all’inizio degli anni Ottanta dello scorso secolo ha scatenato un impressionante fenomeno di erosione regressiva, con la conseguente massiccia incisione degli alvei. Gli isolotti di ghiaia aumentano non perché il fiume li deposita di più, ma perché il fiume si abbassa, incide il letto e li fa emergere. Il Po a Cremona si è abbassato di oltre sei metri in cent’anni. Inoltre, i ponti che attraversano i principali fiumi piemontesi hanno i pilastri scalzati. Togliendo ulteriore materiale si favorisce una ulteriore incisione e si accresce il pericolo idraulico. Il problema della gestione degli eventi alluvionali non si risolve facendo scorrere più velocemente l’acqua, ma dissipandone l’energia. [Per prevenire nuovi disastri serve] rispetto delle fasce boscate naturali, rispetto della naturale morfologia degli alvei, rispetto delle aree di espansione naturali del fiume e quindi lotta assoluta all’abusivismo e alla costruzione di edifici e strutture nell’alveo di piena: questi sono gli strumenti necessari. Se guardiamo l’urbanistica delle nostre montagne, delle Langhe, del Monferrato si vede benissimo che i nostri vecchi costruivano sempre sui versanti, laddove sorgono ancora campanili, vecchie case, chiese, mentre noi oggigiorno costruiamo in alveo. E non si venga a dire che una volta si pulivano gli alvei e adesso no: un tempo si utilizzava lavoro manuale, non meccanizzato e ad esempio sulle Alpi laddove una intera borgata faceva la ‘roida’, cioè la corvée, per pulire il letto di un canale con un lavoro che durava parecchi giorni adesso un escavatore fa il doppio del lavoro in poche ore. Invece di continuare a rimuovere sedimenti dai fiumi, come chiede in Italia una parte poco informata della popolazione, bisognerebbe guardare a cosa si fa negli altri paesi europei vicini a noi, come Francia, Austria e Germania, dove ad esempio vengono ripristinate larghe fasce di vegetazione ripariale. La gestione dei fiumi, purtroppo, viene sempre più spesso affrontata trascurando o addirittura mettendo in discussione l’approccio tecnico-scientifico. Il grande problema è che in qualsiasi campo, dalla medicina alla sismologia, assistiamo desolatamente al dilagare di una mentalità pseudoscientifica ed al proliferare di teorie che, pur ammantandosi di una patina scientifica, rifiutano o comunque non hanno alcuna corrispondenza con il metodo sperimentale”.

Andiamo ora ad analizzare gli effetti disastrosi che si possono verificare in caso di operazioni sconsiderate di dragaggio lungo i corsi d’acqua attraverso questo estratto dell’articolo “L’uomo e i corsi d’acqua: una convivenza che è diventata difficile fra urbanizzazioni intensive, alluvioni, danni e proposte di legge per rimuovere i sedimenti fluviali” di Fabio Luino, geologo e ricercatore presso il CNR-IRPI di Torino, pubblicato sul numero 2/2019 del Periodico trimestrale della SIGEA (Società Italiana di Geologia Ambientale) (CLICCA QUI per l’articolo integrale).

“La naturale mobilità dei fiumi, in particolare nelle aree non confinate dai versanti, e l’alternanza delle portate tra la fase di piena e quella di magra hanno indotto molti a considerarli spesso come elementi territoriali scomodi, in conflitto con le esigenze di uso del suolo, particolarmente nelle aree pianeggianti e soprattutto nell’attraversamento delle aree urbanizzate. Molti sanno che in Italia la pratica dell’estrazione di inerti dai corsi d’acqua è già stata ampiamente utilizzata. Basti pensare che nell’alveo del Po e dei suoi affluenti, negli ’60 e ’70 del secolo scorso, sono stati estratti circa 12 milioni di m3/anno (dati relativi ai volumi concessi, che ahimè sono sempre inferiori ai volumi reali estratti dagli alvei). Nonostante in Italia l’estrazione di inerti in alveo sia formalmente vietata dagli anni ’70-’80, per le palesi nefaste conseguenze che descriverò di seguito… la richiesta è ancora molto pressante e vengono ancora rilasciate concessioni, generalmente mascherate da motivazioni di tipo idraulico. D’altronde portare via il sedimento dai corsi d’acqua ha diversi vantaggi (per chi lo fa): 1) è di facile estrazione; 2) il materiale è di qualità pregevole, poiché risulta già pulito (cioè privo di sedimenti fini), disomogeneo e ben arrotondato; 3) le zone di estrazione sono solitamente vicine ai punti di stoccaggio e di vendita (quindi con costi di trasporto minimi). I costi ambientali? Beh, non sono quasi mai presi in considerazione nelle valutazioni di progetti estrattivi e di conseguenza la “risorsa corso d’acqua” appare molto più conveniente rispetto ad altre fonti (cave). Ma asportare i sedimenti, purtroppo, è stato ampiamente dimostrato come alteri l’equilibrio del corso d’acqua, che nel giro di qualche anno tenderà a definire un nuovo profilo di equilibrio aumentando la propria azione erosiva di fondo alveo determinando la scomparsa del materasso alluvionale ed il conseguente restringimento dell’alveo stesso. Sicuramente questa pratica aumenta il rischio a valle perché accelera e concentra i deflussi (che non sono mai solamente liquidi), accentua di conseguenza il picco di piena e la sua velocità di trasferimento verso valle. Inoltre, in generale rende instabile l’equilibrio geomorfologico, generando un effetto domino: le costose opere di contenimento e di mitigazione dell’erosione realizzate lungo le sponde (scogliere, gabbionate, argini etc.) in molti punti risultano avere perso la propria funzionalità, essendo ormai sospese rispetto alle dinamiche fluviali. E a monte? Oltre all’abbassamento diretto del livello del fondo nella zona di estrazione, l’escavazione modifica il profilo longitudinale, provocando un aumento locale di pendenza che tende a migrare verso monte, creando una erosione regressiva. Asportare sedimenti dai corsi d’acqua compromette quindi inevitabilmente la stabilità delle opere longitudinali sulle sponde e anche quelle di attraversamento. Spesso in passato, lungo alvei pesantemente utilizzati per l’estrazione di inerti, abbiamo visto crollare ponti per sottoscalzamento delle pile: nel 1966 (dopo pochi anni di estrazione) crollò il ponte di Romito sul Fiume Magra, nel 1993 il ponte della tangenziale di Biella sul T. Cervo, fenomeno avvenuto proprio a causa di anomali approfondimenti del fondo alveo (in Cervo sino a 6 metri) dovuti all’asportazione per decenni di grandi quantitativi di materiale ghiaioso/ciottoloso da parte dei cavatori. Ancora oggi lungo i corsi d’acqua ogni tanto si possono vedere ponti con strutture fatiscenti e pile che sembrano grissini piantati su un fondo instabile. E correre ai ripari adesso è molto oneroso. Sul Fiume Tanaro qualche anno fa è stato condotto un intervento a salvaguardia di un’opera di attraversamento e non l’hanno certamente pagato i cavatori che si erano arricchiti, ma la Regione Piemonte”.

Ponte sull’Arno ad Empoli in un confronto tra il 1954, prima che iniziassero le escavazioni, ed una attuale: è evidente come l’alveo si sia nettamente approfondito portando alla luce la parte inferiore delle due pile (fonte: link).

Fiume Adda, ponte fra Traona e Cosio (foto de La Gazzetta di Sondrio). L’originario livello del fondo alveo è evidenziato dalla linea rossa. L’approfondimento è molto evidente e mina la stabilità dell’opera. (Fonte: PDF).

Alluvioni e fenomeni estremi sempre più frequenti: se non è colpa del mancato dragaggio dei fiumi, allora quali sono le cause? Urbanizzazione sconsiderata e riscaldamento globale 

Se oggi gli episodi alluvionali ci sembrano più frequenti e dannosi il motivo non va ricercato nella mancata asportazione di sedimenti dal letto dei fiumi – come abbiamo già ampiamente spiegato – ma, come sottolinea ancora il geologo Fabio Luino, piuttosto nella dilagante urbanizzazione che a partire dalla metà degli anni ’50 del secolo scorso ha progressivamente occupato le aree ancora libere con una lenta, ma inesorabile invasione degli spazi vitali dei corsi d’acqua. Lo sviluppo urbanistico a partire da quel periodo è avvenuto, infatti, attraverso una sistematica sottrazione di quelle fasce ubicate ai lati delle sponde naturali ove il corso d’acqua poteva divagare senza creare danni: questi corridoi erano una sorta di “polmone”, di aree di espansione atte a contenere gli eventi straordinari, una sorta di garanzia. Ora, invece, abbiamo torrenti e fiumi quasi costantemente canalizzati, costretti spesso in passaggi angusti fra case, ponti, ponticelli, argini e scogliere: il loro alveo è stato ridotto, della metà, e in alcuni casi anche ad un terzo della ampiezza originale”.

Un esempio recente è fornito da quanto accaduto nel centro di Limone Piemonte a seguito dell’alluvione del 2 ottobre scorso quando una piena del Rio San Giovanni, tributario del Torrente Vermenagna, è stata causa di erosioni spondali minando la stabilità di un edificio che si trovava in una posizione evidentemente a rischio alluvionale (foto: Giorgio Bernardi).

In casi ancor più gravi il letto dei fiumi è stato completamente modificato obbligando i corsi d’acqua a percorrere stretti canali cementati che in alcuni casi transitano al di sotto di strade, piazze, parcheggi e talvolta persino condomini. Un corso d’acqua costretto a percorrere un canale artificiale svilupperà ondate di piena molto piu rapide rispetto ad un altro che ha un alveo naturale: questo aumenta il rischio di esondazioni a valle.

Il caso del Rio Misureto ad Alba (CN): in questa ripresa aerea di Google Earth viene evidenziato il percorso del rio (linea azzurra) che per un lungo tratto è tombinato e transita al di sotto di strade ed abitazioni (elaborazione grafica di Fabio Borgogno).

Il Rio Misureto esondato ad Alba durante l’intenso temporale del 5 settembre 2019: la portata di questo breve corso d’acqua è pressochè inesistente durante i mesi estivi, tuttavia a seguito di forti precipitazioni concentrate in brevi archi temporali può dare luogo ad improvvise piene. A causa di circa 70 mm/1 ora a monte, si è sviluppata una rapida piena lungo il corso d’acqua: il rio costretto a percorrere un angusto canale in cemento la cui sezione è chiaramente insufficiente a contenere eventi di piena di questo genere è esondato allagando da un metro d’acqua e fango il tratto di Corso Langhe sotto cui transita (CLICCA QUI per l’analisi dell’evento).

E’ sbagliato pensare che tutte le alluvioni si potrebbero evitare, a maggior ragione nella situazione attuale di cambiamento climatico in cui dobbiamo far fronte ad eventi probabilmente sempre più estremi e in grado di superare anche le più pessimistiche previsioni. Tuttavia possiamo mitigarne gli effetti in termini di perdite di vite umane: negli ultimi 20/30 anni sono stati fatti importanti progressi sotto questo punto di vista grazie alla nascita della Protezione Civile nel 1992 e ad una prevenzione sempre maggiore.  Questo non va dimenticato, perchè le recenti alluvioni del novembre 2016, ottobre 2019, novembre 2019 ed ottobre 2020 avrebbero potuto avere effetti ben più gravi se fossero avvenute il secolo scorso.

Anche se sono ancora pochi gli studi che dimostrino un evidente aumento della frequenza e dell’intensità di questi fenomeni, alcuni eventi recenti sono stati molto significativi in tal senso: basta pensare all’eccezionale episodio accaduto solo pochi giorni fa durante il quale sono cadute delle quantità di pioggia inedite nell’arco di 24 ore, non solo in Piemonte ma anche nel Sud della Francia. In oltre un secolo di osservazioni pluviometriche sul territorio piemontese (la prima rete capillare di stazioni meteorologiche nacque nel 1913 con la creazione dell’Ufficio Idrografico del Po) mai prima d’ora si erano misurati 634 mm di pioggia in 24 ore come è avvenuto in Valstrona (VB) e mai sulle Alpi Marittime erano caduti 517 mm in 12 ore come è avvenuto a Limone Pancani (CN). Tali quantità di pioggia in un arco temporale così ristretto si sono rese responsabili dello sviluppo di incrementi idrometrici lungo aste fluviali importanti come il Tanaro, il Sesia ed il Toce fino ad ora completamente sconosciuti per la loro rapidità: tutte le grandi alluvioni del passato si erano sviluppate nell’arco di 2 o più giorni, mentre in questa occasione sono bastate poche ore per mettere in crisi le rete idrografica primaria.

Proprio qui nel bacino del Mediterraneo, più che altrove, c’è la probabilità di riscontrare un aumento dei fenomeni estremi: l’area del Mare Nostrum infatti è considerato un “hot spot”, cioè un’area dove l’aumento della temperatura è maggiore rispetto alla media globale. Di conseguenza ci troviamo in una zona più esposta agli effetti del cambiamento climatico, anche perchè, oltre alle temperature medie dell’aria, aumentano quelle superficiali del mare.

Dall’esaustiva relazione redatta dai meteorologi e climatologi di Nimbus-SMI (QUI per l’articolo completo) possiamo capire meglio quanto il ruolo del mare caldo possa influire durante l’autunno in occasione di intensi peggioramenti piovosi. “Nonostante le burrasche e il brusco raffreddamento di fine settembre 2020, nei giorni precedenti le piogge di inizio ottobre le temperature superficiali del Mediterraneo intorno all’Italia restavano comunque superiori al normale di 1-2 °C a causa dei caldi mesi precedenti (il periodo gennaio-agosto 2020 in Italia è secondo tra i più caldi dal 1800, con anomalia di +1,1 °C rispetto al trentennio 1981-2010, dopo il caso del 2018). Un mare più caldo determina un’evaporazione più massiccia e una maggiore cessione di vapore acqueo e di energia all’atmosfera che alimentano lo sviluppo di piogge più intense. Inoltre, per ogni grado °C di aumento termico dell’aria, questa è in grado, secondo la legge di Clausius-Clapeyron, di trattenere il 7% di vapore in più che a sua volta è disponibile a tradursi in precipitazioni più violente (maggiore contenuto di acqua precipitabile). Sono questi i motivi per cui già ora, e a maggior ragione in futuro, si attende un incremento di frequenza e intensità di episodi alluvionali, soprattutto come ora in autunno, quando le prime depressioni atlantiche si spingono su un Mediterraneo ancora molto caldo dopo l’estate. I climatologi francesi parlano di épisodes méditerranéens, come quello che il 2-3 ottobre 2020 ha sconfinato anche sul Nord Italia, e analizzando le serie di precipitazioni giornaliere estreme hanno individuato un aumento di intensità media del 22% degli eventi più forti di ciascun anno nel Sud della Francia durante il periodo 1961-2015, ma significativi incrementi risultano anche per la frequenza degli episodi, il volume di acqua precipitata e l’estensione delle zone colpite (articolo originale di Ribes et al., 2019, sulla rivista Climate Dynamics)”.

Andamento dell’intensità delle piogge estreme nella Francia mediterranea tra il 1961 e il 2015. Al netto di una forte variabilità interannuale, si nota un significativo incremento delle anomalie positive (anni con estremi di pioggia più forti = barre verdi) (fonte: MeteoFrance).

Gli episodi mediterranei sono legati a risalite di aria calda, umida e instabile dal Mediterraneo che possono generare violenti temporali, talvolta stazionari. Si verificano in modo privilegiato in autunno, quando il mare è il più caldo, il che favorisce una forte evaporazione (fonte: MeteoFrance).