Una questione piuttosto complessa rispetto alla quale arrivano al Consorzio tante domande e critiche rispetto ad un modus operandi apparentemente contrario al senso comune, ma ormai ampiamente condiviso dagli esperti del mondo scientifico e tecnico-operativo.
Una credenza molto diffusa è quella per cui le esondazioni dei corsi d’acqua avvengono perché non si dragano più i fiumi e il fondo degli alvei si sta via via innalzando “rubando” così spazio all’acqua; a conferma di questa convinzione ci sarebbero i letti dei fiumi sempre più “alti”, depositi di detriti fluviali sempre più grandi fino a formare veri e propri isolotti; interventi che invece di asportare il materiale lo ributtano in acqua o lo risistemano nel medesimo.
Sono invece varie, motivate e dimostrabili le ragioni per cui oggi non si dragano più i fiumi o meglio l’asportazione di materiale litoideo dai corsi d’acqua è regolata in maniera assai restrittiva e sostanzialmente vietata per interventi di difesa del suolo che non riguardino canali e condotte artificiali di pianura, dove invece sono necessari periodici interventi di spurgo e sfangamento per assicurare le giuste pendenze e garantirne il regolare funzionamento di scolo delle acque.
Sui corsi d’acqua naturali, in collina come in pianura, la sola movimentazione delle terre, ghiaie e sabbie, senza asportazione, ma con risistemazione direttamente in alveo del medesimo corso d’acqua non deve destare critiche o preoccupazioni.
È ormai ampiamente condivisa la convinzione per cui, al di là anche degli impedimenti di legge, l’asportazione di materiale dagli alvei non comporta alcun considerevole beneficio in termini di minore rischio idraulico se non nell’immediato o brevissimo periodo e fino alla prima nuova piena che tenderà a ridepositare gli inerti laddove sono state tolti.
Il dragaggio, in passato praticato anche per il reperimento in loco di materiali da costruzione, è scientificamente ritenuto non utile ai fini idraulici specie in relazione ai costi economici ed ambientali: dal punto di vista economico la pratica della gestione delle terre e rocce derivanti dagli scavi anche fluviali è particolarmente onerosa in considerazione delle norme in materia di gestione dei rifiuti che prevedono procedure speciali e dunque considerevoli costi per il loro smaltimento o reimpiego; dal punto di vista ambientale oltre allo stravolgimento dell’habitat fluviale nel luogo d’intervento, il maggiore danno si fa privando il restante sviluppo del reticolo idrografico di valle e i litorali di preziosi componenti organici ed inorganici che arrivando fino al mare contribuiscono a contrastare la sempre più diffusa e documentata riduzione delle spiagge; dal punto di vista idraulico infine diverse sono le conseguenze negative degli scavi considerato che è ben dimostrato che gli alvei negli ultimi decenni sono generalmente sempre più incisi e che l’abbassamento del fondo rischia di provocare sempre più smottamenti spondali, franamenti del piede arginale interno e scalzamenti strutturali ad opere idrauliche e civili, come le pile dei ponti.
Conferme in tal senso arrivano da diverse e autorevoli fonti istituzionali come l’Autorità di Bacino del Fiume Arno (leggi QUI) e scientifiche con docenti universitari ed esperti che intervengono a seguito dei più drammatici eventi meteo alluvionali (leggi su TARGATOCN – SCIENZAINRETE – BLOG DI ALDO PIOMBINO).
E dunque che si può o deve fare per la più corretta gestione dei depositi fluviali?
Il Consorzio di Bonifica Medio Valdarno lavora per eseguire ciclicamente, su più anni, interventi di ricalibratura d’alveo e movimentazione degli accumuli più importanti di sedimenti in maniera tale che non siano troppi, solidificati o maldisposti e che invece siano slegati e dunque mobili al passaggio delle successive piene che naturalmente li trasporteranno verso valle e poi ad altri fiumi e via via fino al mare secondo la fisiologica dinamica fluviale naturale.